Sostenibilità, stile, cura delle cose.
In questo momento così surreale, abbiamo avuto il piacere di parlare con Gabriela Hearst. Il 18esimo giorno di lockdown, Gabriela ci ha spiegato come si può andare avanti, come si può adottare uno stile di vita più sostenibile e come i CEO di grandi aziende possono limitare gli sprechi. Con la sua linea che trascende ogni trend e affonda le proprie radici nell’infanzia passata nel suo ranch, la designer uruguaiana ha sviluppato una nuova filosofia imprenditoriale vincente. Nonostante l’enorme successo, Gabriela è una donna molto umile, mette in pratica i suoi principi ogni giorno e si dichiara una fan sfegatata di Bob Dylan.
Cosa hai imparato durante la tua infanzia nel ranch che oggi usi per la produzione della tua linea?
Molte cose ho imparato. Sono cresciuta in un ambiente rurale, con mia madre, mio padre e il mio patrigno. Tutti lavoravamo nel ranch: lo amministriamo da generazioni, è nostro da oltre 170 anni e mia madre ci vive ancora. Adesso alcuni parenti si sono spostati in altri settori, ma, insomma, questo è sempre stato il nostro ambiente. Sono cresciuta in un posto abbastanza isolato, a due ore e mezzo dalla città più vicina. Il nostro stile di vita è sempre stato sostenibile per necessità: abbiamo sempre avuto bisogno di cose resistenti e durature. Nel 2002 ho fatto il mio ingresso nel mondo della moda e nel 2015 ho creato il mio brand, i cui valori sono gli stessi che mi accompagnano da una vita. Ho sempre avuto un istinto di sopravvivenza: noi allevatori impariamo a cavarcela da soli, a mandare avanti l’attività e a selezionare solo una quantità di animali di cui possiamo prenderci cura nel migliore dei modi, nutrendoli solo con le cose che la terra locale ha da offrire. Questi sono i principi fondanti di Gabriela Hearst, fin dal primo giorno. Oggi è importante più che mai essere attenti alla sostenibilità, produrre qualcosa che duri nel tempo, selezionare materiali organici come fibre naturali, lino e cotone e affidarsi al sapere artigiano italiano. Le nostre collezioni sono interamente tracciabili, lo si può vedere anche dal sito, e hanno il minimo impatto ambientale, anche grazie al packaging biologico. Tutto questo, senza rinunciare all’innovazione.
Come possiamo affrontare l’emergenza sanitaria ed economica che stiamo vivendo?
Bisogna essere prudenti. L’allarmismo e il panico sono controproducenti e non aiutano il sistema immunitario. Ci sono così tante fake news in giro… Dobbiamo cercare di aiutare chi ha più bisogno e rispettare le misure prese dai governi. Bisogna collaborare come una vera comunità, per un obiettivo molto importante.
Ti ammiriamo molto per il supporto che dai alle donne di tutto il mondo, soprattutto in Uruguay, Italia e USA. Cosa ti ha spinto a dedicarti all’empowerment femminile?
Ho avuto la fortuna di poter lavorare con Mano of Uruguay, un’organizzazione non-profit che da 50 anni ha come obiettivo principale la valorizzazione della figura delle donna nella società. Alla base, c’è l’idea che una donna con un lavoro può dare una grande contributo all’economia, partendo dal concetto di famiglia, per arrivare al mondo intero.
Per quali donne disegni le tue collezioni?
Le nostre clienti sono principalmente donne in carriera che vogliono un guardaroba raffinato, ma non anonimo. Non vogliono il tipico tailleur da ufficio, ma un look deciso. Tutto inizia dalla sartoria, che secondo me è fondamentale per ogni donna. Non seguiamo mai i trend. Ci lasciamo guidare dal nostro istinto e dalle esigenze delle donne. Vogliamo che si sentano se stesse e che non siano ricoperte da griffe e loghi. Ci ispiriamo a tutte quelle donne pronte ad aiutare il prossimo e che non vogliono sempre essere al centro dell’attenzione (mi riferisco anche ad attrici, artiste e celebrity… a tutte le donne). Per noi è un onore vestirle con abiti che possano aumentare la loro autostima. La nostra passione è difficile da esprimere sulle piattaforme digitali perché si basa sui sensi… La pashmina e il cashmere che utilizziamo sono fatti da artigiani italiani con anni e anni di esperienza alle spalle. Questa esperienza si può percepire quando si indossa una delle nostre maglie: crediamo che gli indumenti, se realizzati con cura, abbiano un effetto benefico sulle nostre giornate.
Sostenibilità e cambiamenti: come risponderà la moda nei prossimi anni?
Per iniziare, si può valutare in base alla dimensione delle aziende. Una con 20.000 dipendenti, per esempio, potrebbe fare il primo passo eliminando l’uso della plastica, dotando i dipendenti di bottiglie termiche da riempire. Di tutta l’acqua che impieghiamo ogni anno, ci basterebbe solo il 3%: proprio su questo tema il National Geographic ha pubblicato un articolo molto interessante intitolato ‘The End of Trash’. Avvicinarsi a metodi sostenibili ed eco-friendly non costa di più alle aziende, è solo un vantaggio. Si può anche produrre 58 milioni di prodotti all’anno, ma quanti davvero ne riusciremo a vendere? Questo problema è molto accentuato nel settore alimentare: un terzo del cibo che arriva a NY viene sprecato. Ridurre gli sprechi è quindi uno dei primi step da mettere in atto, insieme a un consumo più consapevole. Nella moda ci basta guardare al nostro passato per capire che c’è l’urgenza di un comportamento responsabile e di un ritorno alla cura delle cose..
Le tue icone di stile:
Mia madre: è una bellezza naturale ed è una donna molto forte… gareggiava nei rodeo! Anche se è molto rigorosa, tratta le persone col massimo della gentilezza. Non dà giudizi e non si considera superiore a nessuno. Un’altra donna che ammiro è la mia amica Lauren Hutton. Continua a prendersi cura della madre, di sua sorella e di sua zia, è eccezionale. Anche lei è una bellezza naturale ed è una donna incredibile: non c’è nessuno che sta meglio con un vestito e un paio di sneakers ai piedi.
Cosa ti ha attratto del mondo della moda?
Nessuno si aspettava che sarei finita a lavorare in questo settore. Quando ero piccola non guardavo la TV, non ascoltavo la radio. Leggevo e stavo sempre all’aria aperta, innamorata della natura. Passavo gran parte del tempo a disegnare e a giocare con l’immaginazione. Mia madre ha ritrovato le pagine su cui disegnavo la mia collezione di scarpe da piccina! A quel tempo in Uruguay non c’erano scuole di moda: prima della globalizzazione non avevamo tutte le opportunità nel campo dell’istruzione. Quando sono cresciuta ho potuto finalmente studiare moda, partendo da zero e sono diventata brava, sia dal punto di vista creativo che da quello imprenditoriale e voglio continuare ad esserlo. Voglio contribuire a costruire una società sostenibile attraverso i miei clienti, i miei investitori, i miei dipendenti e i miei prodotti.
Secondo te la moda ha un impatto sulla società (o viceversa)?
Molti cambiamenti nel settore della moda sono dettati da cambiamenti sociali. Per ricordarne uno, le donne hanno smesso di indossare guanti e cappelli nelle rivolte sociali nella Francia del ‘69. Molte cose sono successe in relazione alla realtà sociale. Io, per esempio, ho studiato produzione e comunicazione audiovisiva e mi sono fatta una cultura sul movimento hippie e su Woodstock. Anche mia mamma era un po’ hippie… A proposito di quegli anni, stiamo utilizzando la tecnica tie dye come non abbiamo mai fatto prima per la nuova collezione!
Chi solo le donne che ti hanno resa ciò che sei oggi?
Mia madre, la mia migliore amica, le amiche d’infanzia, le nuove amicizie, le donne che lavorano per il brand. Queste donne, non necessariamente hanno avuto un ruolo ben preciso nella mia vita, ma ognuna di loro mi ha lasciato qualcosa. In generale, mi lascio ispirare dai traguardi che le donne possono raggiungere. Una delle mie amiche più recenti sta forgiando molto il mio carattere: è brillante, empatica e altruista. Non importa quanto tu sia straordinario se il tuo cuore non ti guida nella giusta direzione.
Hai detto che da piccola leggevi molto. Autori preferiti?
In questo periodo continuo a leggere, ma mi sento frenata, faccio fatica a concentrarmi: è un po’ come se la mia mente fosse un po’ annebbiata dalla preoccupazione. Comunque, questi sono i miei autori preferiti: Jorge Luis Borges: il book aziendale di Gabriela Hearst contiene una citazione presa da ‘2 English Poems’; Bob Dylan: so che i più lo considerano solo un musicista, ma per me è anche un grandissimo poeta. A casa ho una copia di The Complete Works of Bob Dylan, che sfoglio quando ho bisogno di risollevare l’umore. Infine, una delle mie ultime letture è The Overstory di Richard Powers: è una storia, ma con un sacco di dati reali. Ha cambiato il mio modo di vedere gli alberi, è un libro che ti cambia la vita. Non te lo aspetteresti, ma è così.
Nella tua playlist:
Ti metterai a ridere:
Bob Dylan – Everything is broken
The Rolling Stones – Emotional Rescue
Alison Krauss e Robert Plant – Raising Sand
Tennis – Please don’t ruin this for me
Con chi vorresti collaborare?
Beh, devo ammettere che sono circondata da amici fantastici che sono sempre una mia grande fonte d’ispirazione. Un mio caro amico, Daniel Hume, è uno chef stellato. Abbiamo molto in comune: per la nostra idea di essere al servizio dei nostri clienti e per il nostro modo di concepire il lavoro di squadra. Per me non si tratta solo del prodotto, ma soprattutto dell’idea. Un giorno mi piacerebbe collaborare con lui. Ha un gusto eccezionale sia per il cibo che per l’arte. Mi piacerebbe pensare insieme a lui a un pop-up, un ristorante, un evento: i nostri gusti sono molto simili.
Altri designer sostenibili che ammiri?
Ci sono molti brand emergenti nella moda sostenibile. La maggior parte dei candidati al premio LVMH appartenevano a questa categoria. Oggi l’interesse per la sostenibilità fa parte dei prerequisiti per essere un designer. I giovani talenti pensano tutti a questo tema centrale. Quando abbiamo iniziato quasi nessuno ne parlava, adesso è sulla bocca di tutti: credo che tutti si chiedano, ‘cosa posso creare in modo sostenibile?’.
Quali cambiamenti vedi da parte degli altri brand?
Credo che si stiano interrogando sul loro business model: quello tradizionale ormai è obsoleto. Certo, si pensa ancora ad incrementare le vendite, a produrre secondo le stagioni, ma si stanno facendo progressi… bisogna rendersi conto che un capo invernale verrà comprato quando fuori è freddo. Credo che questo momento di emergenza possa essere una svolta anche in questo senso. Adesso però siamo tutti in stand-by, i saldi tarderanno a cominciare e ci saranno molte altre ripercussioni.
Chi inviteresti a cena e cosa ordineresti da mangiare?
Jorge Luis Borges, Nina Simone e Bob Dylan. Così saremmo due americani e due latini. Li porterei a cena fuori perché non sono una gran cuoca. Forse al Sant Ambroeus di NYC, per un menu italiano… prenderei di sicuro la pasta cacio e pepe!
Programmi futuri?
Vorremmo aprire una boutique in Asia ma stiamo incontrato più di un ostacolo per l’emergenza sanitaria. Appena sarà possibile andremo avanti con questo progetto. Vorremmo essere presenti in Asia, sia fisicamente che con l’e-commerce.
Un ringraziamento speciale a Gabriela Hearst.
All images courtesy of Gabriela Hearst.