“Fermare” Tom Dixon non è facile. Uno dei più sorprendenti, veloci ed eclettici designer dei nostri tempi e della scena internazionale. Caterina Lunghi intervista il designer a Londra per LUISAVIAROMA.
Dixon è una mosca bianca: non ha studiato design o architettura e non ha seguito il “classico praticantato”, ma ha la musica e il rock – e le moto – nel sangue. Non disegna e collabora per altre aziende e marchi, come da regola nel settore, ma ha trasformato il proprio nome in un brand e in un’azienda, facendo tutto “a modo suo”.
Disco music e motociclette… ecco come è iniziato tutto. “Alla fine degli anni 70 ero un musicista, suonavo il basso in una band, ma era più disco che punk… ho avuto un incidente in moto, ho rotto un braccio… mi sono scontrato con una macchina. Non ho potuto suonare per un po’, e così ho iniziato a realizzare oggetti e questo è diventato il mio lavoro!”, dice Dixon.
La sua carriera come designer inizia proprio riparando la sua moto dopo l’incidente – e le due ruote rappresentano ancora una sua grande passione, che di recente l’ha portato a collaborare con Moto Guzzi – e da qui le prime sedie realizzate con materiali di recupero e gomma riciclata.
Siamo a Londra, nel suo quartiere generale a Ladbroke Grove, un edificio in stile vittoriano che una volta ospitava gli studi della Virgin Records, che Dixon ha trasformato nel proprio mondo, offrendo non solo un negozio ma anche un ristorante, Dock Kitchen, sul Grand Union Canal (ma questa primavera si trasferirà, ancora più in grande, in una nuova location a King’s Cross). L’abbiamo incontrato tra una riunione e l’altra con il suo team dagli Stati Uniti, la festa di Natale con tutto il suo studio, e un volo da prendere per la Cina, Corea e Hong Kong.Alto e snello, con un forte accento e attitudine british, Dixon parla velocemente, scanzonato e ironico, e inaspettatamente non risponde a un paio di domande, definendole cliché da giornalisti! La sua mente pensa e agisce alla velocità della luce e il suo ingegno e la sua curiosità lo rendono appassionato e interessato a molti settori, vivace nel suo lavoro ed entusiasta riguardo a ogni idea e progetto che tocca.
Tom, cos’è il design per te?
Per caso è diventato un modo fantastico per vivere. Ma ancora non mi sembra un vero e proprio lavoro, è quasi più un hobby, che sono riuscito a trasformare in un business che mi appassiona e diverte.
Da bambino, il tuo sogno nel cassetto?
In realtà non ho mai avuto sogni… oh, anzi, quando avevo 5 o 6 anni volevo fare il pompiere… mi piacevano i camion rossi con le sirene accese!
La tua sfida quotidiana?
La mia passione è fare oggetti e pensare a cosa potrebbero diventare… Non separo la parte di design dallo loro realizzazione e dalla vendita… Ho tanti lavori e campi: ingegnere, scultura, aspetto commerciale e cerco di combinarli tutti insieme. Non penso che potrei fare tutto ciò se avessi frequentato una scuola d’arte o un corso di design.
Le tue ispirazioni?
Ho una strana malattia: non riesco a fare un giro in bicicletta, vedere una mostra di scultura o guardare la forma delle nuvole senza pensare e visualizzare nella mia mente degli oggetti. Quando la gente mi parla e sembra che io non sia concentrato, in realtà e così, sto pensando a creare qualcosa.
Tom, l’Italia: che ruolo ha avuto nella tua carriera?
Mi ha insegnato che il Design è uno strumento di grandissimo valore per l’industria. L’amore sincero degli italiani per il design come professione, come catalizzatore per lo sviluppo industriale è stato una rivelazione per uno come me che arrivava dalla grigia esperienza degli anni 80 in Inghilterra.
Andiamo a Firenze, città di LUISAVIAROMA…
A dire il vero non conosco Firenze così bene, solo come turista, e poi una volta sono stato a Pitti Uomo per presentare una collaborazione che ho fatto con Adidas – è il momento per Luisa di portarmi in giro e farmela conoscere meglio?
Parliamo dei tuoi prodotti più iconici: l’illuminazione prima di tutto. Con i tuoi gruppi di lampade crei inconfondibili atmosfere. Perché il settore è sempre così vincente in generale?
È sempre l’oggetto più in vista in una stanza, ed è anche una tipologia che si presta molto bene per nuove forme, materiali e tecnologie. È il campo perfetto di sperimentazione per un designer!
Come la luce giusta può cambiare un ambiente e l’attitudine delle persone?
Può totalmente trasformarne il mood, può anche rovinarlo se non è pensata bene. Può rendere un luogo futuristico o romantico o, appunto, poco ospitale.
La tua S-Chair è esposta nelle collezioni permanenti di musei internazionali. Hai iniziato realizzando e saldando sedie, assemblando pezzi, metallo e materiali di recupero e la camera d’aria di pneumatici di camion…
A fine anni 80 avevo a Londra il mio studio e ho realizzato molte versioni della S-Chair in materiali diversi, forse 10 modelli: rivestita con la gomma di un eccentrico sexy shop o delle ruote dei camion, o in vimini o in giunco. Ho fatto anche una piccola produzione di giunco intrecciato come un tessuto, che probabilmente esiste ancora nella sua versione anni 80.
E poi?
Un giorno mi è stata offerta l’opportunità di partecipare a una mostra a Milano: Carla Sozzani aveva appena aperto 10 Corso Como e mi ha invitato con Kris Ruhs e Marc Newson – per tutti noi rappresentava la primissima volta in Italia, e io ho portato la S-Chair. Carla Sozzani mi ha presentato a Giulio Cappellini, il quale mi ha offerto la possibilità di metterla in produzione, usando pelle riciclata e tessuto. È stato un successo e ancora è a catalogo con Cappellini. Ma io stesso l’ho appena reintrodotta, ma nella sua forma e versione originale con però più comfort.
L’idea della sua forma così unica?
Spesso mi è stato chiesto da dove mi è venuta l’ispirazione, e onestamente, l’unico ricordo che ho è uno scarabocchio di un gallo che ho fatto sul retro di un fazzoletto e da lì ho pensato che potevo farne una sedia. Questo prova che se all’inizio qualcosa non funziona, ma se provi e provi ancora poi… anche una strana idea come questa è diventata un oggetto spettacolarmente brutto.
Sei stato uno dei primi nel campo, anzi, direi il primo, a intuire e proporre collezioni di candele e fragranza per la casa. Il tuo ambiente ideale?
Mi piace la varietà, e penso che sia possibile cambiare completamente uno spazio con davvero pochi elementi: la luminosità, il suono e i profumi ci permettono di trasformarlo con piccoli tocchi, e di adeguarlo al proprio mood.
Ci racconti più di te e della tua vita e carriera? Viaggi: sei sempre in movimento, con la ricchezza di aver, letteralmente, fatto il giro del mondo più volte. E il cosmopolitismo sembra essere nel tuo DNA fin dalla tua nascita in Tunisia e i primi anni di trasferimenti con i tuoi genitori…
Questo è vero. Sono nato in Tunisia, mio padre era un insegnante di inglese e mia mamma, di metà francese di origine, era una giornalista della BBC. Ho trascorso i primi anni della mia infanzia in Marocco e in Egitto prima di trasferirci in Inghilterra.
Tom da bambino?
Ero un ragazzino confusionario e introverso, disorganizzato, con una scrittura quasi illeggibile, la mia camera era sempre in disordine e le ginocchia sempre sbucciate. Amavo fare cose, disegnare e leggere, ma non avevo l’ambizione di diventare un designer. E gli amici possono confermare che oggi non è cambiato molto!
Tornando ai viaggi, le città o i paesi che ami?
L’India, Delhi è sempre sorprendente, e New York. Ma amo nuove sorprese e avventure, posti dove non sono mai stato. Non vedo l’ora di poter visitare Cuba, il Mali e Detroit.
Riguardo al tuo lavoro e team, qual è la qualità che apprezzi di più nei tuoi collaboratori?
Profondità nascoste.
E cosa apprezzi di più nelle persone in generale?
Innovazione.
E, all’opposto, quale il tratto che biasimi di più negli altri?
La mancanza di compassione.
Quale diresti invece essere la tua miglior virtù?
Eheh… dovresti chiedere a chi mi conosce! Io non mi sento virtuoso.
Tom, il tuo lavoro è la la tua vita? Intendo, per alcune persone nell’arte – o in qualsiasi campo – vita e lavoro spesso sono una cosa sola, una necessità quotidiana di espressione e totale aderenza.
Sì, non c’è quasi separazione. Sono fortunato nell’amare la vita e il mondo del design, che quasi ogni giorno mi aprono nuovi universi.
Il rock da ragazzo con la tua band Funkapolitan, poi sei stato manager di nightclub, le prime sedie da autodidatta, Tom designer e poi Direttore Creativo di Habitat, fino a fondare il tuo omonimo brand. Sembra che hai vissuto già 7 vite! Qualcosa che ancora non hai fatto…?
Ci sono ancora così tante possibilità che mi piacerebbe esplorare, non sono mai davvero soddisfatto: un ponte, un telefono, pianificare una città, trasporti, l’elettronica, abitazioni a basso costo, una tenda, una bicicletta, un bus, un nightclub, una collezione di abbigliamento, una stazione dei treni o la stazione di ricarica di una macchina elettrica… qualcosa per salvare il mondo.
E un tuo rimpianto?
Questa è una domanda cliché… scusami ma non rispondo!
La prossima allora. Come dicevamo, potresti davvero dire di aver fatto e visto tutto, da luoghi, musei d’arte, fabbriche, prodotti… Che cosa ancora cattura la tua attenzione? Cosa accende i tuoi occhi?
Ancora tutto ciò. Amo ancora le fabbriche, visitare gli stabilimenti, dall’Asia alla Polonia e la Spagna, scoprire i loro processi di produzione e tecnologie. E, come dicevo, amo sempre NY e Delhi.
E come dicevi prima, fin da bambino ami leggere…
Corretto.
Il libro ora sul tuo comodino – o nell’iPad?
Da molto, molto tempo non riesco a leggere altro che email o articoli di riviste. E mi mancano i libri.
Qualche anticipazione sulle nuove collezioni?
Eheh… più luminosità, più colore, più materiali… e non posso dire altro per ora!
La moda è qualcosa che ti attira?
Esatto. Il mondo della moda è sempre stato il primo ad apprezzare e comprare i miei lavori, sempre propenso alle ultime idee e sperimentazioni.
E anche hai “rubato” dalla moda il modello di business per il tuo brand…
Sì, sono interessato al modo in cui i designer gestiscono la proprietà intellettuale, la propria estetica e il brand, e l’industria della moda lo fa da sempre in modo molto concentrato. Questo non esiste nel campo del Product Design.
Per finire, un pochino più personale. Cosa ti piace fare nel tempo libero?
Cucinare, disegnare e… dormire!
Qual è il tuo bene più prezioso?
Scusa… ma un’altra domanda cliché!
Musica allora, che rappresenta la tua formazione…
Attraverso la musica ho imparato che tutto è possibile, che ognuno può creare qualcosa da solo. Serve solo attitudine, un punto di vista e poi creare qualcosa che la gente comprerebbe.
Ultimissima domanda, ma non meno importante. Pensi e agisci alla velocità della luce! Cosa passa oggi nella tua mente?
Uhm… Non credo in realtà di pensare poi così velocemente – sto pensando a cosa potrei fare che sia propriamente utile.
Il tuo stato mentale attuale?
Caotico e confuso come al solito, ma con il momento occasionale di chiarezza.
Testo scritto da Caterina Lunghi.
Un ringraziamento speciale a Tom Dixon.
Questa intervista è stata condensata ed editata.